Festival della Cultura della Libertà: critiche al sistema educativo italiano, definito “socialista, coercitiva, prigioniera di sindacati e pedagogisti”. Tra i temi, la crisi della qualità formativa e il ruolo del settore privato nella scuola
Un Festival per la libertà educativa
Si è chiusa a Piacenza la nona edizione del Festival della Cultura della Libertà, un appuntamento annuale che riunisce esperti, accademici e imprenditori per discutere temi legati alla libertà individuale e collettiva. L’edizione 2025, organizzata dall’Associazione Culturale Luigi Einaudi in collaborazione con enti locali e organizzazioni liberali, ha posto al centro il tema della libertà educativa, con il titolo emblematico “Meno Stato, più società”.
Tra i relatori, figure di spicco come Carlo Lottieri, direttore scientifico del Festival, e il presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa. Durante i lavori sono emerse critiche decise al sistema scolastico italiano, definito “socialista” e troppo influenzato da sindacati e pedagogisti, con una governance burocratica centralizzata che penalizzerebbe insegnanti e studenti.
Le accuse: una scuola ideologizzata e burocratizzata
Il tema della crisi del sistema educativo italiano è stato affrontato con toni decisi da diversi relatori, tra cui Roberto Brazzale, imprenditore veneto, che ha individuato negli anni ’70 l’inizio del declino della qualità formativa, dovuto a una serie di riforme che hanno burocratizzato la scuola.
Secondo Brazzale, l’attuale sistema scolastico produce il “perfetto cittadino”, definito provocatoriamente come «un imbecille» incapace di sviluppare pensiero critico e competenze concrete. Il direttore di Italia Oggi, Pierluigi Magnaschi, ha invece puntato il dito contro la centralizzazione romana, dove “burocrati prigionieri dei sindacati” determinano le politiche educative.
Un’altra questione sollevata è quella dell’ideologizzazione dei programmi scolastici. Magnaschi ha criticato il ruolo dominante dei pedagogisti, che, a suo dire, rendono i programmi ministeriali poco pragmatici e influenzati da visioni politiche progressiste. Ha inoltre sottolineato un problema storico legato all’insegnamento delle lingue straniere: la scelta del francese come prima lingua nelle scuole italiane per molti anni è stata, secondo il giornalista, frutto di “sudditanza verso la Francia”, causando un ritardo nell’apprendimento dell’inglese, fondamentale nel mondo contemporaneo.
Meno Stato, più società: il ruolo del privato nella scuola
Uno dei temi centrali del Festival è stato il rapporto tra istruzione pubblica e privata. Carlo Lottieri, filosofo del diritto, ha sostenuto che il sistema educativo italiano si basa su un modello “socialista e coercitivo”, dove l’istruzione è finanziata dal contribuente senza offrire reali opportunità di scelta.
Secondo Lottieri, una società realmente libera dovrebbe favorire il finanziamento privato e volontario dell’istruzione, creando un sistema scolastico competitivo in grado di rispondere alle esigenze diversificate delle famiglie. La concorrenza, ha aggiunto, non significherebbe creare scuole di “serie A” e “serie B”, ma offrire opzioni formative differenziate e di qualità.
A questa visione si è unita la storica delle dottrine politiche Diana Thermes, che ha illustrato il pensiero di Ayn Rand, scrittrice statunitense di origini russe, nota per la sua difesa della libertà individuale. Rand sosteneva che un sistema educativo libero da influenze statali sia l’unico mezzo per formare uomini liberi, capaci di pensare autonomamente e agire in modo responsabile.
Le proposte per un nuovo modello educativo
Tra le soluzioni proposte durante il Festival, è emersa l’idea di una maggiore integrazione tra scuola e mondo delle imprese. Cesare Galli, professore di diritto industriale, ha sottolineato il fallimento dell’Agenzia Nazionale per l’Occupazione nel favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Per migliorare la situazione, ha suggerito di incentivare le agenzie private del lavoro e creare sinergie più forti tra scuole, università e aziende.
Questa proposta si inserisce in un quadro più ampio di revisione del sistema educativo, che dovrebbe puntare a sviluppare competenze pratiche e ridurre l’influenza della burocrazia centrale. Anche il direttore Magnaschi ha auspicato una maggiore presenza del settore privato nelle politiche educative, per introdurre innovazioni e rompere il monopolio statale nella definizione dei programmi e nella gestione delle risorse.
Non sono mancate le critiche alle posizioni emerse durante il Festival. Le associazioni di insegnanti e i sindacati, spesso accusati di bloccare le riforme, difendono il ruolo pubblico dell’istruzione come garanzia di equità e inclusione, la privatizzazione dell’istruzione rischierebbe di aumentare le disuguaglianze, creando un sistema dove solo le famiglie più abbienti possono permettersi scuole di qualità, l’educazione non può essere trattata come un bene di consumo, ma deve rimanere un diritto universale garantito dallo Stato.
Il decennale del Festival, previsto per il 2026, affronterà un tema di respiro internazionale: i rapporti tra Europa e Stati Uniti dopo le elezioni presidenziali americane. Nel frattempo, le questioni sollevate sull’educazione durante l’edizione appena conclusa continueranno a suscitare dibattito.
L’idea di una maggiore libertà educativa, con meno interferenze statali e più spazio per il settore privato, rappresenta una sfida che potrebbe ridisegnare il panorama scolastico italiano. Tuttavia, per attuare un cambiamento significativo, sarà necessario un dialogo inclusivo che tenga conto delle diverse esigenze e prospettive, evitando contrapposizioni ideologiche e trovando un equilibrio
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