“È accettabile che un’insegnante debba ricorrere a questo per arrivare a fine mese?”
Ora che la vicenda si è chiusa con un provvedimento di allontanamento “per giusta causa”, è necessario tornare a riflettere con serietà, senza cedimenti né al facile sensazionalismo né alla difesa ideologica.
Sì, perché questa vicenda impone di guardare in faccia due realtà: da un lato, l’importanza del ruolo educativo e il rispetto che esso richiede anche fuori dalle mura scolastiche; dall’altro, la drammatica precarietà in cui molti docenti – soprattutto quelli delle scuole paritarie – si trovano a vivere. E ignorare uno di questi due elementi vuol dire non capire davvero cosa sia successo.
Ruolo pubblico e coerenza: la scuola è anche esempio
Chi lavora nella scuola, e in particolare con i più piccoli, ricopre un ruolo pubblico che non si limita all’esecuzione tecnica di un mestiere. Educare non è un compito neutro, ma una funzione sociale, culturale ed etica. E questo comporta, inevitabilmente, una responsabilità maggiore.
Nessuno può negare che ci siano comportamenti che, pur legalmente leciti, possano entrare in tensione con la funzione educativa. La scuola, specie quella con un progetto di ispirazione religiosa, ha il diritto – e forse anche il dovere – di porsi domande su coerenza e messaggio valoriale.
Per questo è sbagliato liquidare il licenziamento di Elena Maraga come un semplice atto di moralismo bigotto. Il punto non è vietare la libertà, ma interrogarsi su cosa significhi essere insegnanti oggi, anche nel rapporto con l’immagine pubblica che si trasmette.
Ma attenzione: se pretendiamo rispetto per il ruolo dell’insegnante, allora dobbiamo essere i primi a rispettare le persone che lo ricoprono. E qui arriva la seconda faccia della medaglia.
Un Paese che giudica, ma non garantisce
Maraga ha raccontato che uno dei motivi per cui aveva aperto il profilo su OnlyFans era l’insostenibilità del suo stipendio: 1.200 euro al mese. Non una provocazione, ma una realtà. Una realtà condivisa da migliaia di lavoratrici e lavoratori della scuola, sia pubblica statale che paritaria.
In altre parole: mentre discutiamo se una maestra debba o meno esporsi su una piattaforma online, dimentichiamo che quella stessa maestra non riesce a pagare l’affitto o a pianificare il futuro. E non c’è nulla di morale in questo.
Qui la domanda non è: “Ha fatto bene ad aprire OnlyFans?”
Ma piuttosto: “È accettabile che un’insegnante debba ricorrere a questo per arrivare a fine mese?”
Perché se il ruolo educativo richiede rigore, dignità e sobrietà, allora anche lo Stato e le istituzioni – tutte – devono offrire agli insegnanti le condizioni per poter vivere con quella stessa dignità.
Il rispetto è a due vie
Non si può predicare l’importanza dell’educazione e poi dimenticare chi la realizza ogni giorno in classe. Non si può pretendere sobrietà e impegno da chi è costretto a cercare lavori extra per sopravvivere. Non si può chiedere coerenza a chi non si sente tutelato né valorizzato.
Elena Maraga ha probabilmente sottovalutato le implicazioni pubbliche della sua scelta. Ma le istituzioni diciamolo, gli hanno, a loro volta, girato le spalle, senza affrontare il problema “silenzioso” come quello degli stipendi da fame di chi lavora in scuola.
Serve una riforma culturale e contrattuale
Oggi il Ministero dell’Istruzione e del Merito annuncia l’aggiornamento del Codice di comportamento dei dipendenti pubblici, con un focus sull’uso dei social. È un passo importante, ma non può essere l’unico.
Serve una riforma vera del lavoro educativo: retributiva, normativa e soprattutto culturale. Bisogna smettere di considerare l’insegnamento come una “missione” e iniziare a riconoscerlo come una professione qualificata e centrale per il futuro del Paese. Una professione da rispettare, ma anche da retribuire adeguatamente.
Educare è responsabilità, ma anche diritto
Il caso Maraga ci dice che il rispetto per il ruolo dell’insegnante non può essere solo un atto di pretesa verso chi lavora a scuola. Deve essere anche un impegno della società a garantire condizioni di vita degne a chi quel ruolo lo ricopre.
Non servono giustizialismi, né indulgenze. Serve equilibrio, dialogo, riforma. E soprattutto, serve non dimenticare che la vera incoerenza non può essere solo in una foto pubblicata online, ma sopratutto in un sistema che chiede tutto agli insegnanti e restituisce troppo poco.
E in questo, sì, c’è davvero qualcosa di inaccettabile.
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