Un caso di indebita percezione di stipendi ma secondo la Corte dei Conti “ha comunque svolto un’attività utile per la scuola”

Una sentenza che fa discutere

La Corte dei Conti della Lombardia ha emesso la sentenza n. 187/2024 in merito al caso di un collaboratore scolastico che ha ottenuto il posto di lavoro dichiarando il possesso di un diploma mai conseguito. Sebbene il Cs sia stato condannato per indebita percezione di stipendio, la somma da restituire è stata ridotta del 50%. Il provvedimento ha suscitato dibattito sulla corretta applicazione delle normative in materia di pubblico impiego e sulla proporzionalità della sanzione economica.

L’accesso al pubblico impiego con titolo falso

Il caso in questione rientra nelle ipotesi di illecito amministrativo previste dall’ordinamento italiano. Secondo l’art. 2126 del Codice Civile e la giurisprudenza consolidata della Corte Costituzionale (sentenza n. 296/1990), il lavoro prestato senza il titolo richiesto è privo di tutela legale. Di conseguenza, la Pubblica Amministrazione (PA) non è obbligata a riconoscere il rapporto di lavoro e può richiedere la restituzione degli stipendi indebitamente percepiti. Tuttavia, la Corte dei Conti ha ritenuto opportuno mitigare l’entità della restituzione, considerando la natura delle mansioni svolte dal lavoratore.

Il criterio della “utilità residua” della prestazione lavorativa

Un elemento chiave della sentenza riguarda la valutazione dell’effettivo vantaggio derivato dalla prestazione lavorativa. Le mansioni di collaboratore scolastico, come definite dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL), comprendono accoglienza, vigilanza degli alunni e pulizia dei locali. La Corte ha ritenuto che, pur essendo stato assunto senza il titolo richiesto, il lavoratore ha comunque svolto un’attività utile per la scuola, seppur in misura ridotta rispetto a quanto previsto per la qualifica ricoperta.

Il principio dell’abbattimento del danno erariale

La decisione della Corte dei Conti segue un orientamento giurisprudenziale consolidato, che prevede la riduzione della somma da restituire in presenza di una prestazione lavorativa effettivamente resa. Sentenze analoghe (n. 97 e n. 144 del 2024, n. 175/2024) hanno confermato che l’assenza del titolo di studio non implica automaticamente la totale inutilità della prestazione. Di conseguenza, si procede con un abbattimento della somma richiesta a titolo di danno erariale.

La sentenza della Corte dei Conti della Lombardia rappresenta quindi un ulteriore tassello nel dibattito sulla gestione e sulle conseguenze delle irregolarità nelle assunzioni. Se da un lato conferma la necessità di sanzionare chi ottiene un impiego con dichiarazioni mendaci, dall’altro solleva interrogativi sulla proporzionalità delle sanzioni economiche applicate.

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